Invece di rifare il verso a se stessa e partecipare ai teatrini revivalisti della televisione, Nada ha, da qualche anno, ripreso a fare musica senza badare al suo passato e con una invidiabile attenzione al presente, alternando la sua dimensione classicamente pop a quella più intima del trio acustico (voce, chitarra e contrabbasso.).
Questo suo ultimo lavoro è un disco davvero sorprendente.
Innanzitutto per la musica: un rock minimale e abrasivo, insistente e cocciuto, (che, credo, debba molto a certe atmosfere tipiche dei CSI oltre che alla iper-pubblicizzata produzione di John Parish “il produttore di PJ Harvey“). Il disco è stato realizzato con chitarre, basso e batteria, e suona assolutamente contemporaneo e per nulla nostalgico. Melodie semplici, armonie essenziali, ma tantissima anima riversata nei crescendo tipici di parecchi brani.
Poi ci sono i testi, di Nada stessa, dolorosi, intensamente vissuti, stupendamente vivi ed interpretati con intensità e partecipazione.
E infine la sua voce, che con l’età è diventata ancora più roca, ma ha mantenuto e migliorato la sensibilità ed è ora un più che duttile strumento tramite il quale lei si esprime completamente potendo davvero riversare, e con forza straordinaria, tutta se stessa nelle atmosfere di questo lavoro.
Un disco che, se suona giovane nelle scelte musicali e negli arrangiamenti, è, invece, straordinariamente maturo nell’universo di sentimenti e stati d’animo che esprime.
E Nada mostra a tanti suoi colleghi come si possa continuare a fare (buona) musica senza scadere nell’eterna parodia di se stessi e dei propri anni giovanili.
E’ singolare come sembri fresca lei che racconta le sue vicissitudini (anche drammatiche) e, in confronto, sembrino stantii tutti quei signori che si affannano a cantare giovanilisticamente le solite “Bandiera gialla” o “Luglio-col-bene-che-ti-voglio“, cercando di coinvolgerci in finte feste dove regna una allegria obbligatoria che non può non raggelare chi abbia un minimo di sensibilità.