MANIFESTO PER UNA ESTETICA DEL VEROSIMILE

Cosa può voler dire fare musica nel XXI secolo ?
Cosa può voler dire fare musica pop nel XXI secolo ?

Chi ama la musica avrà notato come in questo nuovo millennio le (chiamiamole così) nuove tendenze abbiano alcuni aspetti non casuali.

Da un lato abbiamo l’esplorazione ossessiva degli archivi alla ricerca di inediti e live di artisti più o meno celebrati (con relativa fluviale invasione di ristampe, riedizioni, bonus tracks, ex-demo, registrazioni casalinghe, scarti delle registrazioni in studio, live mai pubblicati, deluxe edition, expanded edition…),
mentre in parallelo si è sviluppata la caccia a tutti quei tesori musicali che al momento della loro uscita hanno notato in pochi (e quindi ci appassionamo solo adesso al pop etiope degli anni ’70, alle colonne sonore bollywoodiane dagli anni ’40 a oggi, ad artisti di cui solo oggi sembriamo comprendere il valore come, sono esempi casuali tra i tantissimi, Arthur Russell, Angus MacLise o Moondog), per non parlare dei tantissimi duetti postumi in cui artisti ormai passati a miglior vita si ritrovano a duettare con altri musicisti senza avere la possibilità di rifiutarsi…

Su questi concetti è anche recentemente uscito un libro che sembra molto interessante: “Retromania“, scritto da Simon Reynolds, che non ho letto ma sembra voler esplorare tutta questa tipologia di fenomeni.

Poi ci sono tendenze come quella del cosiddetto hypnagogic pop o glo-fi o chiamatelo-come-vi-pare nel quale nuovi giovani autori sembrano incapaci di disegnare un loro presente e si rifugiano in una (per me) straniantissima nostalgia di un passato che non hanno conosciuto ma che tentano di ricreare musicalmente più secondo la loro mitologia personale che perseguendo una qualunque forma di filologia (rimpiangendo la stessa idea di futuro che c’era negli anni ’70 e ’80 a confronto del nulla all’orizzonte che abbiamo oggi).

La costante sembra essere quella di un’epoca post-post-moderna che non sembra avere più nulla davanti a sè ma solo la capacità di guardarsi dietro le spalle.

Da questo ragionamento escludo ovviamente tutte le produzioni delle major che, per definizione e da sempre, non hanno alcuna ambizione di innovazione ma si limitano a ripercorrere infinitamente gli stessi clichè cercando continuamente il nuovo artista che somigli tanto al vecchio artista (di successo) in un gioco di simmetrie scontato e stucchevole.

Se le cose stanno così allora forse c’è una ulteriore via in questa forma di incontro/scontro con il passato.

Quella che intendo teorizzare è una possibilità che oggi ci viene resa fattibile dalle nuove tecnologie e dal proliferare di luoghi dove il sapere si accumula in maniera incontrollata e sostanzialmente indiscriminata (penso a YouTube, alla rete in generale, a Emule, a Wikipedia, a Torrent…). Oggi abbiamo la straordinaria possibilità di (letteralmente) riscrivere la storia, (ri)creare tutto quello che avremmo voluto accadesse e non è accaduto (o forse è accaduto ma non ne è rimasta traccia).
Dischi, concerti, duetti più o meno improbabili… tutto quello che avremmo voluto ascoltare, tutto ciò verso cui il nostro desiderio ci spinge ora si può (ri)costruire.

Un’arte mimetica, artigiana. Capace, come i migliori restauratori, di partire da pochi tasselli e di lì ricostruire l’intero disegno. Un’arte non del vero, ma del verosimile.

Realizzare ciò che non è successo, ma che poteva accadere, e che solo il caso e le ingiustizie dei destini personali hanno impedito accadesse.

Ricostruire pezzi di realtà che in un mondo ideale sarebbero accaduti.

D’altra parte quali sono le cose accadute ? Quelle di cui resta documentazione o anche quelle di cui non ci rimane nulla, nessun ricordo, nessuna registrazione, nessuna immagine, nessuna cronaca ?

Possiamo limitarci a ciò che (si dice) sia accaduto o possiamo allargare il nostro sguardo a ciò che verosimilmente POTREBBE essere accaduto ?

Un’arte doppiamente mimetica perché non solo si deve muovere su binari, logiche, attitudini appartenenti a qualcun altro, ma anche perché per la sua riuscita, ovvero per la verosimiglianza dell’opera realizzata, è essenziale che, il vero autore, che potremmo chiamare il verosimigliatore, debba scomparire, annullarsi, cancellarsi dall’opera stessa.

Nulla deve rimandare alla sua figura: l’opera verosimile deve apparire in tutto e per tutto come appartenente al passato e da lì provenire senza che si possa anche solo vagamente intuire che sia stata realizzata oggi (qualunque cosa significhi la parola oggi ai tempi di Internet).

Questo aspetto, mi si consenta, in un mondo come quello occidentale dove la ricerca della fama “costi quel che costi” è arrivata a livelli parossistici è da considerarsi come molto più che un vezzo: piuttosto un ricominciare a pensare l’arte come una attività che abbia intrinsecamente bisogno di svincolarsi dal mercato e dai critici per tornare ad essere pura e semplice espressione del singolo, priva di qualunque finalità che non sia il semplice “fare”.

Una forma d’arte che presupponga una molto approfondita conoscenza di ciò di cui ci si vuole occupare e la capacità di realizzare (sempre in maniera verosimile) non solo la parte strettamente musicale dell’opera, ma anche tutto ciò che le sta intorno (copertine, immagini, crediti e, soprattutto, contestualizzazioni). Una finzione che, nella migliore delle ipotesi possibili, potrebbe/dovrebbe inserirsi tranquillamente nella Storia-così-come-l’abbiamo-conosciuta-fino-ad-oggi alterandola per sempre. E non sto parlando di burle o di banali falsi. Io mi riferisco ad un’arte che intenda mettere luce in zone oscure del passato, che intenda ricucire strappi che il destino cinico e baro ha provocato, un’arte motivata dal desiderio di migliorare, rimpolpare, integrare e rinvigorire ciò che ci ha preceduto. Un’arte seria e, almeno nelle intenzioni, in perfetta buona fede.

Già a metà degli anni ’70 Franco Battiato teorizzava (e praticava) “…sostituzioni, manipolazioni, citazioni false, o meglio: copie originali” (note a “Cafè-Table-Musik“, 1977), ma muovendosi in un universo informazionale completamente diverso dall’attuale era costretto a giocare a carte scoperte limitando fortemente la portata eversiva delle sue idee. Oggi che tutto ruota e collassa vertiginosamente le possibilità espressive in questo campo si sono moltiplicate esponenzialmente rendendoci capaci (teoricamente) di intervenire sulla realtà con quella che gli amanti di certo fumetto super-eroistico americano chiamano retcon (retroactive continuity).

Se non abbiamo un orizzonte da guardare, piuttosto che passare il tempo a rimpiangere i bei (?) tempi andati potrebbe essere più utile e divertente espanderli in una sorta di “passato 2.0” (George Lucas approverebbe) o “passato aumentato” (augmented past) che possa sempre più essere all’altezza delle nostre aspettative (cfr. “Total recall“).

Oggi come allora,
libertà dal conosciuto per il conosciuto.

p.s. Poiché sono uomo concreto, prossimamente vi fornirò un esempio per rendere meglio comprensibile il mio delirio di cui sopra.

1 thoughts on “MANIFESTO PER UNA ESTETICA DEL VEROSIMILE

  1. […] scrissi il mio “Manifesto per una estetica del verosimile” (potete leggerlo qui) vi promisi un esempio concreto. Ed ogni promessa è […]

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