Lezioni di musica

Molto spesso, quando si parla della RAI, si mostra un diffuso sentimento di insofferenza. Nella vulgata dominante la RAI è un carrozzone che utilizza male i soldi del canone, produce, sostanzialmente, le stesse cose della TV privata e via dicendo.
Chi si abbevera al fiume di questa retorica utilizza come esempi le trasmissioni dei canali generalisti della RAI e, nella sua pigrizia mentale, raramente guarda oltre la siepe. Se lo facesse magari scoprirebbe un ricchissimo palinsesto ricco di chicche e produzioni interessanti e validissime.

In questa occasione parleremo di un gioiellino della radio pubblica, e di RAI Radio 3 in particolare. Si chiama “Lezioni di musica” e va in onda, di norma, due volte alla settimana la mattina.

lezioni

Come si può evincere dal titolo, questo programma, di una scarsa mezzoretta, si occupa di un’opera musicale (un concerto, una sinfonia, una sonata…), il conduttore (sono diversi e tutti molto bravi e preparati) cerca di illustrare le caratteristiche dell’opera sia contestualizzandola all’interno della vita privata e della storia personale del suo autore, sia collegandola alle altre sue opere, sia analizzandone la struttura formale, sia cogliendone gli aspetti innovativi o più significativi.
Per fare questo il conduttore si appoggia sia al pianoforte, accennando i temi e i frammenti musicali dei quali sta parlando, sia proponendo un ascolto (sempre parziale) dell’opera sul quale interviene per sottolineare ciò che ritiene importante.

Il risultato è un prodotto divulgativo di altissima qualità, che permette anche ad ascoltatori non particolarmente ferrati in queste materie di penetrare nel profondo l’anima di queste composizioni (spesso) immortali. Qualcosa che dovrebbe entrare di diritto nelle scuole medie e superiori, se appena appena qualcuno fosse interessato alla formazione musicale dei nostri giovani.

Ve ne parlo anche perché, fortunatamente, è possibile ascoltare queste puntate in streaming sull’apposito sito della RAI e, chi vorrà, potrà selezionare nel vastissimo elenco le cose che più lo incuriosiscono.

Sono conservate ed accedibili (al momento in cui scrivo) le stagioni dal 2012 ad oggi (!), e all’interno di questa serie ci troverete di tutto: da Mozart a Bach, da Beethoven a Brahms, da Debussy a Monteverdi, ma anche cose meno prevedibili  e contemporanee come alcune puntate su minimalismo e post-minimalismo, opere di Maderna, Castaldi, Berio, Stockhausen, Glass, Reich, Riley, Pärt, Feldman e tanti altri. Non mancano, infine, anche artisti (relativamente) minori come Frogerber, Carissimi, Gastoldi, Willaert

Decine di trasmissioni su decine di opere di decine di artisti di tutti i tempi. Uno scrigno ricchissimo di gioielli che merita assolutamente l’attenzione degli appassionati di musica.

Peccato che, nella recente ristrutturazione del sito, abbiano eliminato la possibilità di scaricare liberamente le trasmissioni per conservarle e/o ascoltarle quando non si ha la connessione. Trattandosi di servizio pubblico sarebbe stato bello conservare questa possibilità.

Ma resta il fatto che questa trasmissione rappresenta la più pura essenza del servizio pubblico, qualcosa che i privati non faranno mai. Sono trasmissioni come queste che giustificano (eccome !) il pagamento del canone, anche se i tromboni che si lamentano della qualità dei programmi RAI non le degneranno di attenzione, buoni solo a lamentarsi.

LAVERNA (terza parte)

Altra cinquina di lavori pubblicati dalla nostra prediletta net-label Laverna (le precedenti le trovate qui e qua).

Partiamo con “A long white sleep” di Leonardo Rosado. Quattro brani per 20 minuti caratterizzati da estrema brumosità, un’elettronica fosca e glaciale per niente rassicurante, ma molto affascinante.
Come spesso accade in questo tipo di musiche dietro un apparente immobilità c’è invece un intero universo di continui microcambiamenti che rendono l’ascolto interessante e coinvolgente. Più estatica l’iniziale “Variation in white n.1“, più rumorosa “Variation in white n.2“, più letargica “Variation in white n.3” (forse la traccia più convincente, come un guardarsi attorno di chi riesce a cogliere nel profondo l’essenza della natura), più vicina a certe atmosfere eno-ane (“On land“) la conclusiva “Variation in white n.4“.
Una musica capace di grande suggestione.

Anacleto Vitolo, qui con lo pseudonimo di AV-K, presenta nel suo “A centripetal fugue” oltre mezzora di suoni elettronici di squisita fattura e discreta varietà. “290513“, dark-ambient molto sporca e lacerata, introduce perfettamente questo rigoroso lavoro, segue il brano scelto per intitolare il disco, che profuma dei primi Kraftwerk, o dei primi Cluster, con suoni elettronici (che sembrano) analogici molto ben modulati, squisita descrizione di un sereno panorama post-industriale. Si prosegue poi con le vibrazioni ricche di disturbi, rumorini e pulsazioni di “Amniotico” (vagamente alla Biosphere), con “Frefall in slow motion“, immobile e celestiale, “Anxiety” e “S-FLM” , dai bassi profondi e lo sguardo dentro l’abisso. Si conclude l’ascolto con la ventosa “Rising“, le cui aperture mi ricordano certi momenti del Battiato di “Genesi” (ma mooooolto più dilatati).

Posthumous innocence” di Item Caligo  (al secolo Sergey Epifanov) è un ottimo lavoro tutto incentrato sul pianoforte e un clima malinconico-depresso. Quattro brani per circa mezzora a iniziare dai toni cimiteriali dell’ottimo “Faded before blossom” (poche note di pianoforte ripetute, con le dovute variazioni, con intristita insistenza tra azzeccati e, giustamente, contrastanti field recordings). Stessa atmosfera anche per “Stained” (ma con un pianoforte più leggero, rumori di passi, sguardo ora leggermente alzato verso il cielo), mentre “Rest in apathy part 3” torna su toni particolarmente plumbei (e qui la ripetizione del pianoforte si fa molto minimalista oltre che funerea). La conclusiva “Rest in apathy part 4” prosegue seguendo la formula delle tracce precedenti ma è quella che forse suona più solare: pianoforte molto ripetitivo, rumori d’ambiente e un pizzichino di elettronica vengono messi al servizio di un sentimento meno angosciato e libero di mostrarsi. Un lavoro delizioso.

Proseguiamo con il lunghissimo (abbondantemente oltre l’ora) “A distant veil” firmato da Orrorin Daydream, misterioso progetto belga il cui unico componente ci delizia con una dark-ambient sporca e nebbiosa in bilico tra certo Biosphere e certo industrial ritual-dronante. Particolarmente affascinanti le due lunghe composizioni che aprono e chiudono il disco: “A bestiary” (11 minuti di ipnotica risacca elettronica) e “Some words” (17 minuti di continuo e sommesso ringhio elettronico intarsiato da rumori angoscianti, un lento frustrante crepuscolo verso il nulla) insieme agli 8 minuti di “A somnolence” (moribund chorus e andamento lentissimo, vagamente vicino al finale di “Pollution“).

Concludiamo con “The summer of love” che sarebbe già di suo un buon lavoro di elettronica immobile e gelida realizzato da Marco Lucchi. Tre tracce per la solita mezzoretta scarsa di musica.
Spicca per contenere al suo interno un pezzo semplicemente bellissimo. Intitolato “Electric Eden” è caratterizzato da fortissimi, ma raffinati quanto espliciti, riferimenti al Battiato 1974-1975, e in particolare alla canzone “No U turn“. Chi ha amato quel Battiato e quella canzone non potrà non apprezzare questi quasi 9 minuti di omaggio realizzati trovando un prodigioso equilibrio tra citazionismo e scrittura compositiva, desiderio di manifestare l’amore per certa musica e trascenderla.

Per ora ci fermiamo, ma state tranquilli, to be continued 🙂


Chi fosse curioso di queste musiche e desideroso di verificare quanto scritto sopra, può farlo agevolmente utilizzando i link che trovate qui sotto.

Leonardo Rosado
AV-K
Item Caligo
Orrorin Daydream
Marco Lucchi

LAVERNA (seconda parte)

Seconda cinquina di album/EP prodotti dalla netlabel electro-friendly Laverna (la prima parte la trovate qua).

cecchinatoPartiamo con “Pulsar evenings“, lavoro di media durata (46 minuti) di Manuel Cecchinato Posadas. Cinque lunghi deliziosi brani che vanno dalle atmosfere quartomondiste di “Pulsar evening 1” (con la tromba di Daniele Goldoni a ricamare, con l’aiuto del pianoforte, sopra una base elettronica dal beat insistito), al Milesi in progressione di “Pulsar evening 2” (basato su una minimale frase di pianoforte intorno alla quale l’elettronica disturba e innerva, con gran classe), fino al minimalismo vagamente alla Palestine di “Pulsar evening 4” (pianoforte rapido e ossessivo che si intreccia benissimo con una elettronica glitch e una ritmica frammentata) in quello che è forse il pezzo più originale del lotto.
Un lavoro interessante e prezioso

stellapolanskyGhost window” di Stella Polansky (5 tracce per una mezzoretta di musica) è un lavoro con forti reminiscenze ambient ma molto aggrappato al nuovo millennio. L’iniziale “Freste klep” si apre con una nebbia e una malinconia molto basinskiana alla quale però si aggiunge una chitarra acustica a portare un po’ di sole. Seguono gli altri brani che si muovono su coordinate analoghe con particolare attenzione per il lungo “Floating boat” caratterizzato da un delicato vento elettronico che sembra esplorare gli spazi intorno a noi (e a lui) dai quali emergono radi suoni concreti (ma nessuna parvenza di vita, salvo la solita chitarra nel finale) e la conclusiva “In winter’s bones” dall’elettronica glaciale e le atmosfere (uniche a presentare anche delle voci umane) degne del miglior Biosphere (e a casa mia questo è un gran complimento).

bingsatellitesHigh fidelity” di Bing Satellites (3 tracce per poco meno di mezzora) si muove su coordinate a metà tra l’ambient-quartomondista e i corrieri cosmici. Si apre con “High fidelity“, un brano che distilla il meglio dei Tangerine dream periodo post-Phaedra con morbide percussioni a dare ritmo a suoni elettronici vagamente space caratterizzati da una interessante ascesa verso l’armonia. Senza una reale interruzione il brano sfocia in “Caterpillar dance” che pare essere una versione più rallentata e atmosferica del brano precedente. Chiude il lavoro “Space between your ears“, il più ambient del lotto, dove spariscono le percussioni tribaloidi e si entra in una dimensione vagamente mistica, piena di good vibrations ed echi di certe cerimonie tibetane. Globalmente un lavoro di sostanza che magari non stupisce con effetti speciali, ma si lascia ascoltare con grande soddisfazione.

haloXVIThe dreaming E.P.” di Halo XVI (anche in questo caso il lavoro si estende per la solita mezzora, per 5 tracce di varia lunghezza) è ambient purissima, solo venata da qualche oscurità, dotata di interessanti sviluppi all’interno dei suoi brani (una sorta di immobilità in divenire tutt’altro che scontata). Lo si avverte nelle note di pianoforte nell’iniziale “A different afternoon“, ben inzuppate in suoni elettronici, nelle tastiere soffuse e nei vocalizzi della deliziosa “Lost evenings” (con echi dei Cluster più morbidi), nella lunga “Night moves” dagli echi west-coastiani (nel senso della scuola ambient cresciuta in California negli anni ’80 intorno alla figura di Steve Roach).

roomsdelayedChiudiamo questo secondo post dedicato alla Laverna con “Flickering traces“, lavoro accreditato a Rooms delayed (progetto che fa capo a Vincenzo Nazzaro), che si sviluppa attraverso 5 tracce che compongono (la solita) mezzora di ambient classicissima realizzata a partire da una chitarra elettrica sapientemente trattata. Toni lentissimi a volte profondi, “Somewhere near“, a volte meno, “Every day, early morning“, a volte meravigliosamente oscuri, “Centerlight shade“, a volte piuttosto languidi, “Flowing across“. Inevitabilmente il pensiero va a certe (splendide) cose di Fripp & Eno.

Al solito il consiglio, oltre a dargli e darmi fiducia, è di assaggiarli utilizzando i link che trovate qui sotto.

Manuel Cecchinato Posadas
Stella Polansky
Bing Satellites
Halo XVI
Rooms delayed

Alla prossima 🙂

SPOTIFY

Dall’anno scorso sono usufruibili anche in Italia alcune piattaforme che permettono una interessante modalità per l’ascolto della musica, del tutto legale e (anche) gratuita.
Tra le varie presenti sul mercato vi parlerò di Spotify, non necessariamente perché la migliore (anche se una nota rivista che si occupa di assistere i consumatori l’ha indicata come tale) quanto perché è quella che conosco meglio. Vi premetto però che mi occuperò solo dell’universo desktop e notebook e quello che vi scriverò non è necessariamente applicabile agli smartphone o ad oggetti simili (che comunque dovrebbero avere delle applicazioni che permettano di utilizzare Spotify).

spotify

Spotify è fondamentalmente un enorme archivio musicale dal quale voi potete scegliere cosa ascoltare. Per ottenere ciò dovete installarvi sul vostro computer un piccolo programmino (gratuito) e registrarvi.
Fatto questo vi si spalancheranno le porte di un universo musicale gigantesco dove certamente non troverete tutto, ma dove, vi assicuro, troverete molto: dischi oscuri e famosi, vecchi e recentissimi, italiani e stranieri, di rock e musica classica. Se, come me, decidete di usufruire del servizio gratuito non avete limiti nell’ascolto ma, unica tassa da pagare, a volte ascolterete della pubblicità tra un brano e l’altro.
Sia chiaro: Spotify non vi vende nulla, nessun brano sarà mai di vostra proprietà o scaricabile, ma potrete solo ascoltarlo in streaming quante volte vorrete (quindi per farlo dovrete essere necessariamente connessi con la rete). In pratica è come se aveste a disposizione una (web)radio della quale VOI decidete il palinsesto (e questa cosa non è affatto male).

L’altro lato positivo è che circa il 70% degli introiti vengono restituiti agli autori dei brani (in proporzione agli ascolti realizzati) con una precisione ed una puntualità che la nostra amata SIAE semplicemente si sogna.

Qualche tempo fa è nata una discussione in rete sull’entità effettiva di questi pagamenti perché, secondo alcuni, le cifre sarebbero così basse da non giustificare tutta questa generosità (?) nei confronti degli ascoltatori. Spotify stessa ha comunicato alcuni degli importi versati in relazione al suo primo periodo di funzionamento e ne voglio approfittare per fare alcune personali riflessioni intorno a questi numeri.

Partiamo con un esempio a me familiare: Franco Battiato per la sua “Voglio vederti danzare” dovrebbe avere incassato circa 2.500 euro per quasi 500.000 ascolti.
Poco ? Tanto ?
A mio parere, se fate mente locale al fatto che nessuno ha acquistato la proprietà di un disco ma ci si è limitati ad ascoltare il brano e se fate anche caso che stiamo parlando di una (UNA) sola canzone, a me onestamente pare una cifra di tutto rispetto. Non so quanto normalmente un cantante incassi per un suo brano trasmesso alla radio ed ascoltato (ad esempio) da una platea di mezzo milione di persone, ma a me viene da pensare che se fossi Battiato e mi arrivassero 2500 euro all’anno per tutte le mie canzoni più famose unitamente ad altre cifre più piccole per quelle meno amate… be’ io credo che ne sarei estremamente soddisfatto.

L’impressione è che ci sia un buon equilibrio tra servizio offerto e relativo ricavo e se è vero che i gruppi meno conosciuti incassano cifre molto più basse, spesso gravitanti intorno ai 100 euro a canzone, è probabile che queste cifre siano superiori a quelle erogate dalla SIAE notoriamente (per il modo in cui calcola le spettanze) molto avara con chi vende poco (e magari all’esterno dei circuiti più potenti) e molto generosa con le superstar.

Nonostante alcuni limiti nella gestione dell’interfaccia utente (che immagino nelle prossime release vengano superati) e una certa confusione nell’identificare artisti e gruppi, vi consiglio di cogliere questa opportunità, non tanto per sostituire questa modalità di ascolto a quella dei canonici CD o vinili, quanto per utilizzarla come un sistema efficace, semplice e legale per assaggiare tutte quelle musiche che ci incuriosiscono (comprese le nuove uscite dei nostri artisti più amati).
Per scaricare il programma ed altre informazioni potete cliccare qua.

www.spotify.com/it

LAVERNA (prima parte)

Come ho già avuto modo di scrivere non sono un esperto di net-label e non mi sforzo più di tanto di esplorare il web alla ricerca di realtà discografiche che mettono a disposizione di tutti il frutto delle loro fatiche. Ma nel mio girovagare in rete una di queste etichette su tutte mi ha veramente impressionato per l’ottima qualità media dei suoi lavori, la Laverna.

Specializzata in musica elettronica e muovendosi attraverso universi che vanno da quella più ritmata (ma con giudizio) a quella più immobile, questa net-label ha portato alla luce numerosissimi lavori meritevoli di attenzione (incorniciati in un sito molto pratico da navigare, elegante da vedere ed assai efficiente nel fornire i suoi servizi).
Quella che segue è una prima tranche di lavori assolutamente meritevoli di attenzione. Vi ricordo che l’avevamo già incontrata su queste pagine quando vi avevo parlato dei Sentimental machine.

Lav38Rilassamento binaurale” di Massimo Liverani, un signor lavoro, un’ora di ambient terapeutica, come da titolo, di altissima qualità e dal ricco apparato iconografico, cosa che lo rende, tra l’altro, decisamente superiore a tanti file venduti legalmente e ai quali non si accompagna mai nulla, né immagini, né crediti, né introduzioni/note all’opera, le major nel loro pressapochismo non pensano che chi compra uno o più mp3 abbisogni anche di altro ad accompagnare il puro e semplice file audio… ma sono bravissimi a chiederci soldi per un prodotto zoppo…

Lav46Insanity” di Giorgio Ricci è un altro lavoro molto interessante. Battuta bassa, atmosfere dark-ambient (vagamente esoteriche) per una mezzoretta nella quale distorsioni, frequenze e suoni campionati danno vita a fascinosi brani strumentali con la quarta traccia (“TXC 18.5“) che sconfina coraggiosamente in territori alvanotiani.

Lav49Domestic tapes vol.II” di Leastupperbound (che poi è un pezzo dei Sentimental machine, vedi sopra) contiene oltre quaranta minuti di ambient quasi isolazionista, piena di vuoti e dove accade pochissimo, e quel poco che accade di norma porta con sé un mood a metà tra l’angoscia e la depressione. Nessuna luce, ma solo qualche nota di pianoforte o qualche distorsione di chitarra, unitamente a qualche spolverata glitch, per ammobiliare questi spazi elettronici molto affascinanti nella loro introversione.

Lav47Weigthless” di Fabio Anile, lavoro piano-centrico dove le sparse note prodotte dai tasti bianchi e neri si incontrano con un armamentario glitch a frammentarle e disturbarle sopra tappeti elettronici statici. Musica che gira intorno a sé stessa, senza l’ambizione di fare ma cercando di trasformarsi in pura essenza.

Lav45Impossible feelings of silent giants” di William Capizzi, un lavoro superbo. Sei tracce per 36 minuti di musica dove tastiere ed elettronica si uniscono per realizzare una musica da colonna sonora di film immaginari a volte piu tesi (il sound autorevole di “Patience’s tear (water tower)” che si appoggia su una elettronica balbettante), a volte più inquietanti (l’immobile elettronica krauta, vagamente Cluster, di “The weariness of the filtered words (cellular repeaters)” e di “From father to son (power lines)“, quest’ultima con la presenza di corde, forse di pianoforte, ad addolcirla leggermente), a volte più classicamente ambient (“The cold sun goes down in the square” o la pulsazione infinita di “Smell my hair from your sky (chimney tired)“). Tutto il disco si muove su coordinate post-ambient con una sensibilità per il suono fuori dal comune. Da sottolineare anche in questo caso l’ottima qualità e la cura del libretto (virtuale) del disco, con foto e testi dell’autore a corredare la musica (tra l’altro ottimamente registrata).

Torneremo a parlare di questa etichetta e delle sue produzioni, intanto eccovi i link alle pagine dove potete ascoltare/scaricare/approfondire i dischi di cui sopra (e quindi anche verificare se scrivo fesserie).

Massimo Liverani
Giorgio Ricci
Leastupperbound
Fabio Anile
William Capizzi

To be continued…

AA.VV. “Ondadrops vol.2”, 2010, Onda rock

Ho una sana avversione per antologie e compilation.

Di norma quando una casa discografica appronta una raccolta di un qualche artista realizza strani mischiamenti in cui unisce i principali successi dell’artista con altre canzoni scelte a caso (almeno così appaiono all’ascoltatore) senza tener conto di alcun filo logico (fosse anche solo quello temporale).

Questa avversione ha però alcune eccezioni. Non mi dispiacciono i sampler delle etichette discografiche, quei dischi che, pescando all’interno del catalogo di una label, cercano, spesso riuscendoci, di descrivere l’essenza del progetto che vi è dietro.  Neanche odio quelle antologie che tentano di raccontare una determinata scena musicale (un classico esempio di questo tipo fu la eno-anaNo New York” in relazione alla cosiddetta no-wave anni ’80 o le nostrane “Balla e difendi” e “Italian posse” che descrissero, bene, l’esplosione del giro rap-reggae nei centri sociali ad inizio ’90).

Appartiene a quest’ultimo genere di antologie, e quindi ve ne parlo volentieri, questo autentico gioiello messo a disposizione dal sito Ondarock e sottotitolato “Take the sounds, turn them into words

L’intento di chi ha selezionato questi brani (25 pezzi per oltre 2 ore di musica) è stato quello di mettere sotto la lente d’ingrandimento tutta una serie di progetti musicali, assai variegati tra loro, che hanno in comune il porsi in una zona borderline tra l’avanguardia colta ed extra-colta e sonorità più vicine all’elettronica di consumo, a certo jazz, a certa ambient più o meno morbida. Musiche a volte non distanti da quell’universo indefinibile e vario chiamato post-rock.

Sono musicisti che non si vestono di una sola casacca, ma che tendono ad utilizzare insieme sia strumentazione elettronica e laptop sia strumenti canonicamente acustici. Musiche che non hanno particolari presunzioni di originalità ma che, allo stesso tempo, realizzano interessanti unioni tra mondi musicali non sempre comunicanti e che, in molti casi, denotano una felicità di scrittura assolutamente notevole.

Tra i brani che mi appaiono particolarmente eccellenti vi voglio segnalare nel primo cd l’iniziale “Günther Anders” degli italiani Port-royal (bel crescendo su battuta ciondolante in un mare di riverberi leggermente sporcati da polvere glitch), la gloriosa “The wave” del bolognese Dedo (brano simile al precedente ma con meno glitch, più circolarità e più tastiere positive), la grande Elisa Luu (a lei prima o poi dovrò dedicare un post esclusivo) qui presente con “Piano 5-1” in cui strumenti acustici e laptop si fondono con la classe di sempre in atmosfere indescrivibili ma ricchissime, le ottime chitarre dai mille riverberi ambient e oltre della “Underground prayer” di Puffin on my side, da Roma, “Perlen, honig oder untergang” con i suoi campionamenti d’archi ricostruiti post-minimalisticamente con l’aiuto del pianoforte dal Bersarin quartett (al secolo Thomas Bucker) e poi, con l’aggiunta di una placida percussione, elevati a colonna sonora immaginaria, l’autunno malinconico di Un vortice di bassa pressione, da Catanzaro, con la sua ambient sporcata da voci campionate non lontana da certe cose di Alva Noto insieme a Ryuichi Sakamoto per una “Why not” di intensa suggestione, le chitarre distorte del romano Nimh, per una lenta, circolare, ascesa segnata da rumori e da voci recitanti che mi ricordano la sezione strumentale di “Aria di rivoluzione” di Battiato.

Nel secondo disco (virtuale) emergono l’elegante e avvolgente glitch-ambient del siciliano Con_cetta, o quella, più fragile ma arricchita dal canto degli uccelli, del greco Dergar, oppure quella immobile, nebbiosa e frusciante di Emanuele Errante con la sua “Later, earlier“, o, ancora, quella acquatica e sognante di “Origin of mirage” della giapponese Shaula.

Troviamo poi la bella progressione per pianoforte ed effetti speciali vintage di Dollboy nel suo “Sinister, Dexter” (a metà tra Jean-Michel Jarre e Berto Pisano), le delicatezze iterative acustiche vagamente maxrichteriane dell’inglese Message to bears nella crepuscolare, ma piena di meraviglia, “New beginning“, la classica ambient-drone del portoghese The beautiful schizophonic che in “Dreaming in the proximity of Mars” evoca esattamente ciò che il titolo indica.

Ma è proprio il giudizio complessivo su questa antologia ad essere positivo, per la qualità media dei brani, per la capacità di indicare a chi non li conosce percorsi musicali assai interessanti, per l’ostinazione degli autori a praticare strade poco battute e, probabilmente, poco commerciali ma di grande dignità e musicalmente validissime.

Chi volesse scaricarla può andare su questa pagina (sperando che al momento del vostro clic sia ancora presente…) dove troverà anche delle dettagliatissime note (come osservo spesso, le produzioni fatte senza fine di lucro e solo per amore della musica tendono ad avere una cura ed una attenzione, anche nell’apparato iconografico di corredo e nelle note testuali, superiore a quello delle produzioni fatte dall’industria discografica vera e propria).

Non saranno artisti trendy (?), ma vi garantiranno ascolti piacevolissimi.

SENTIMENTAL MACHINES “The silent bride”, 2010, Laverna

E’ interessante il mondo delle net-label. Indipendentemente dalla gratuità dei loro prodotti, che per molti dovrebbe essere garanzia di approssimazione e scarsa qualità, ci si può trovare di fronte a prodotti di ottima fattura, ben incisi, curati e musicalmente piuttosto interessanti.

E’ il caso di questo album (5 tracce per 35 minuti di musica) dei Sentimental machines pubblicato dalla Laverna e liberamente scaricabile. Il trio (Attilio Novellino, Gianfranco Candeliere e Saverio Rosi) è autore di una ambient polverosa e disturbata, quieta ma oscura, di pregevolissima fattura.

Qualche distorsione e qualche spolverata di industrial, qualche glitch e qualche field recording, un uso del pianoforte che a me ricorda il Battiato di “Clic“, alcuni intriganti recitati di Emanuele Tonon (versi dei quali è anche autore) per brani caratterizzati da lentissimi crescendo (“Naked lunch“, la prima parte di “We’ll never win (our pain)“), atmosfere oniriche e nebbiose (“Avril (a train to Venice)“), panorami ghiacciati in una giornata senza sole (“The silent bride“), ambient più classica (l’ipnotica risacca elettronica di “A wound in the sky“), fino alla parte finale di “We’ll never win (our pain)” con il lento, immobile, ripetitivo rintocco con il quale il lavoro si congeda da noi, senza darci particolari speranze.

Tutto il lavoro è attraversato da una atmosfera a metà tra disperazione e immobilità che esclude dall’ascolto tutti coloro che dall’ambient si aspettano suoni evocanti paradisi a poco prezzo o una qualunque forma di pace interiore. Qui si rovista nei momenti nei quali la nostra umanità e temporalità è più forte (e noi più indifesi).

Peccato, ma è un aspetto evidentemente trascurabile, per i titoli in inglese, una scelta esterofila che comprendo sempre meno (in particolare in un disco in cui tutti i testi recitati sono in italiano…).

Una sposa muta che ha molto da farvi ascoltare.

Chi fosse interessato ad assaggiarla può cliccare qui

MAT64 “Allegrotto con moto ma rubato”, 2008, Cervello Meccanico records

Non sono un esperto di net-label, le etichette che diffondono le loro produzioni esclusivamente via web, generalmente tramite download gratuito, e non ho idea di quanto di buono ci sia disperso nella rete nei siti di queste realtà musicali a metà strada tra dilettantismo e professionismo emerse negli ultimi lustri.

Ciò nonostante mi è capitato tra le mani (o forse, meglio, tra le orecchie) questo lavoro di Mat64, un autore che, normalmente, si muove all’interno di una micro-cultura underground dedita alla realizzazione di musiche utilizzando le sonorità tipiche dei videogiochi (soprattutto) degli anni ’80 (si, lo so, c’è proprio di tutto nelle ultranicchie musicali…).

L’idea fondante di questo progetto (sottotitolato “sonata in otto movimenti“) è quella di realizzare (per uno pseudo-ensemble acustico, in realtà, credo, imitazioni midi dei suoni di strumenti acustici) delle geniali versioni classiche di alcune sue tracce pubblicate in precedenza.

Il risultato è un disco stranissimo ma molto fresco e frizzante, con queste musiche che mantengono la velocità e il brio di certa elettronica da videogame unendosi però ai toni classicheggianti dei midi-strumenti.

Briciole di post-minimalismo (il piano ossessivo di “Saltarello andantino” sul quale si aggiungono pseudo-archi che mi ricordano certe ottime cose di Piero Milesi),
ritmi vertiginosi (“Organetto diminuito“),
violini sorprendentemente appassionati ed espressivi (“Vivace cantabvile meno mosso“, vagamente mertensiano),
potenziali hit (l’arpa di “Più larghetto molto grave“, il pianoforte ultra-vorticoso di “Pesante ma largamente sostenuto” ),
Jean-Michel Jarre in acido, ma di quello buono, (“Allegrotto con moto ma rubato“),
un certo modo iper-sincopato di utilizzare il pianoforte che tanto mi ricorda alcune tecniche tipiche di Battiato (“Moderatino maestoso“),
per un lavoro (otto brevi brani per un quarto d’ora di musica) che suona molto più divertente e interessante, e molto più indefinibile, dei soliti Allevi o Einaudi sul successo dei quali continuo a lambiccarmi i neuroni pur di capire da dove derivi tanta fama e ammirazione.

Lasciatevi andare e dategli una chance.

www.cervellomeccanico.com