In queste settimane, quasi per caso, mi sono passate tra le mani moltissime compilation tutte appartenenti alla medesima area musicale (ma forse sarebbe più giusto dire “medesima area culturale”, quella ossessionata dall’essere cool e sempre alla moda).
Si riconoscono da diversi particolari: innanzitutto dai titoli che a partire dalla capostipite “Buddha bar” fanno riferimento a ipotetici locali, molto spesso francesi, dove si ascolterebbe questa musica (e quindi ecco i vari “St.Germain de Pres cafè“, “Hotel costes“, “Cafè lounge“, “Cafè solaire“, “Private lounge“, “Smooth jazz cafè” e chi più ne ha più ne metta). Altre cose che hanno in comune sono le copertine piene di immagini esotiche e/o naturalistiche, la caratteristica di svilupparsi per innumerevoli volumi ciascuno dei quali spesso composto di 2 o anche 3 cd.
Una mole così enorme di musica si giustifica solamente con la facilità nel vendere queste raccolte, e, dato il successo, mi aspettavo di ascoltare chissà quali meraviglie musicali.
Apro una parentesi:
assemblare una compilation permette al curatore di selezionare IL MEGLIO del repertorio dei dischi dai quali può attingere, questo vuol dire che io mi aspetto delle scalette memorabili, senza cedimenti, dove quasi tutti i brani siano degni di attenzione. Se così non fosse, non mi riesce di capire che senso abbia assemblare decine di brani mediocri e/o brutti (lo so, è un concetto lapalissiano ma credo vada specificato).
Orbene: tutte ‘ste raccolte che mi sono sorbito hanno la caratteristica di contenere musiche e brani che definire inutili è poco. Muzak, come si diceva una volta, che non riesce a farsi ascoltare, non lascia alcuna traccia, scivola addosso come acqua senza soffermarsi neanche per un attimo. Musica della quale non riusciamo a mantenere memoria, neppure di un brano tra gli altri o una raccolta dalle altre. Le stesse battute medie, le stesse melodie banali banalmente arrangiate, le stesse interpretazioni professionali ma senza anima…
Sono piene di finto-jazz da piano-bar di provincia, di bossanove buone per ogni occasione, di pseudo-new-age di plastica, di elettronica banalizzata e fatta senza amore, di atmosfere ruffiane e degne al massimo di un aperitivo ipocrita nella Milano-da-bere che fu, di esotismi di maniera senza alcuno spessore con un Brasile o un’India che sono la macchietta di se stessi…
Non ho idea del perché del loro successo, ma per quello che mi riguarda quando, ogni 20 brani, ne trovo uno appena decente, avverto una sensazione di meraviglia e stupore che ogni volta mi lascia più perplesso.
Se almeno fossero brani BRUTTI lascerebbero un segno (come ci insegnano gli amanti del trash anche nell’orrendo si può trovare qualcosa di interessante) e invece sono semplicemente, e drammaticamente, inutili.
La raccolta che titola questo messaggio non ha niente di più o di meno delle altre, ed è utilizzata come esempio e paga per tutto il genere.
D’altra parte, si sa, “i buddha (bar) vanno sopra ai comodini“…