Archiv Produktion 1947-2013

Qualcuno di voi ricorderà il mio entusiasmo per i “cofanettoni” di musica classica (e non solo) comparsi sul mercato discografico negli ultimi lustri (ad esempio ne ho parlato qua e qua).
Economici, qualitativamente spesso eccelsi, rappresentano un modo interessante per approfondire la musica cosiddetta classica.

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Ho comprato, ascoltato (ci ho messo 5 anni esatti…) e approfondito uno di questi oggetti, con una soddisfazione difficile da comunicare. Si intitola “Archiv Produktion 1947 – 2013” e, come intuirete, festeggia i 55 anni di attività di questa prestigiosa etichetta attraverso 55 CD che hanno il compito di celebrare e riassumere le produzioni di questa sussidiaria della Deutsche Grammophon.
Il sottotitolo del cofanetto “A celebration of artistic excellence from the home of early music” riassume benissimo il senso dell’operazione. Grazie ad alcuni sconti l’ho pagato poco meno di 65 euri, fate voi i conti di quanto possa essere economica una simile concentrazione di capolavori.

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Ascoltare questi dischi significa effettuare una molteplicità di viaggi, uno più bello dell’altro. Provo a riassumerli.

1) Il primo viaggio, il più ovvio, è quello nell’universo della musica antica e barocca. La Archiv fin dal suo nascere si è specializzata in quel periodo che, grosso modo, va dalle prime tracce pervenute di musica antica (dal XIII secolo) proseguendo attraverso il canto Gregoriano e via via fino al barocco e le sue ultimissime propaggini (diciamo fino a Beethoven). In questo viaggio si incontrano musicisti iper-famosi e celebrati (Bach, Handel, Palestrina, Monteverdi, Vivaldi, Corelli, Purcell), altri un po’ meno famosi dei quali avevo ascoltato poche cose (Telemann, De Machaut, Haydn, Rameau) e altri ancora dei quali ignoravo tutto (Zelenka, Rebel, Ockeghem, Muffat, De Victoria, il sorprendentissimo Myslivecek…). E’ splendido lasciarsi guidare dai curatori del catalogo all’interno di un universo che contiene moltissime perle (a me) sconosciute in un viaggio che è fatto di pura bellezza, del navigare in un oceano immenso affidandosi alle rotte tracciate da chi ha speso una vita a identificare cosa sia meritevole di attenzione. Ed è bello farlo attraverso lo strumento dei CD, l’oggetto fisico che ci “costringe” ad ascoltare l’opera dall’inizio alla fine, senza (troppe) distrazioni (a differenza dello streaming, dove la tentazione di andare nevroticamente altrove è sempre presente).

A posteriori appare anche evidente come ci sia un enorme differenza tra i suggerimenti dell’intelligenza digitale (“chi ha ascoltato questo ha anche apprezzato quest’altro“, “se ti è piaciuto questo allora prova quest’altro“…) che spesso incontriamo sulle varie piattaforme dedicate all’ascolto in streaming e un percorso vero e proprio strutturato da qualcuno che di certe cose ha grande competenza. E’ anche chiarissimo come, per quanto ampia, anche questa antologia non possa non avere delle mancanze che a me appaiono gravi (tanto per dire: davvero non c’era spazio, o una incisione soddisfacente, per Pergolesi ?), ma la cosa che emerge a valle dell’ascolto è comunque una sensazione di completezza e piena immersione in un mondo di straordinario fascino che poi nessuno ci vieta di approfondire ulteriormente.

2) Il secondo viaggio è quello all’interno delle scelte e delle logiche dell’etichetta. Oggi, che abbiamo a disposizione immediatamente enormi quantità di musica, è difficile immaginare come, nel primissimo dopoguerra, i curatori di un etichetta che si era data il compito di documentare alcuni secoli di storia della musica colta europea, dovessero decidere a quali autori e, ancor di più, a quali opere dare spazio, quali fossero le priorità, le composizioni che proprio non potevano mancare dal loro catalogo. Uno sforzo di sintesi e di valutazione dell’importanza storica e artistica che appare titanico: i Concerti Brandeburghesi di Bach o la sua Messa in Si Minore ? i lavori per organo o quelli per altri strumenti ? e i concerti grossi di Corelli ? quali scegliere ? quali oratori di Handel privilegiare ? e così via. Non è solo un dato storico-statistico e un affascinante percorso di selezione: si tratta di calarsi nei loro panni e costringersi a scegliere, cosa che, in un mondo dove “tutto e subito” sembra naturale, abbiamo dimenticato e non sappiamo più fare. E non è stato un bene.

3) Il terzo viaggio è quello attraverso i musicisti selezionati per suonare. La Archiv dovette anche decidere a chi affidare le interpretazioni e, negli anni, ha dato modo ad eccellenti musicisti di affermarsi spesso con incisioni considerate dagli esperti come dei riferimenti assoluti. Qualche nome tra i tanti: il Gabrieli consort, Musica Antiqua Köln con il suo direttore Reinhard Goebel, The English concert diretto da Trevor Pinnock, il Monteverdi Choir, The English baroque soloists diretto da John Eliot Gardiner, The Early Music Consort of London, il Concentus Musicus Wien diretto da Nikolaus Harnoncourt, i Berliner Philarmoniker, l’Accademia Bizantina di Ottavio Dantone. Tra i tantissimi solisti mi piace segnalare Dietrich Fischer-Dieskau, baritono che non avevo mai sentito nominare (so di essere ignorantissimo in materia di musica classica) e la cui voce mi si è rivelata come una incredibile meraviglia d’altri tempi. Perché è giusto apprezzare i nostri contemporanei, ormai spesso ridotti al ruolo di ultra-divi e costretti a pose e immagini degni di una qualunque velina televisiva, ma è bello riscoprire un mondo meno iper-prodotto e, in qualche modo, più a misura d’uomo e di artista. Parallelamente mi sono deliziato per le performance, molto più recenti, ma altrettanto eccellenti, delle soprano Anna Prohaska e Joyce DiDonato, per me due assolute sconosciute (lo ripeto, sono un novizio in questi campi), ma capaci di interpretazioni strabilianti.

4) Il quarto viaggio è quello nell’esoterico universo delle tecniche di incisione. Obiettivo di questa raccoltona è anche quello di narrare la storia in maniera equilibrata, quindi, partendo dai primi CD (caratterizzati da esecuzioni presentate per la prima volta in digitale) incontriamo registrazioni monofoniche risalenti alla fine degli anni ’40 e ai primi ’50, per poi, piano piano, incontrare registrazioni sempre più sofisticate al seguito di una tecnologia sempre più sviluppata e a conoscenze tecniche sempre più approfondite. Forse il vero top della qualità è stata quella degli anni ’80 quando l’opulenza del mercato rendeva possibile investire parecchio denaro nei macchinari e nella cura delle incisioni, ma l’orecchio attento può seguire in questo cofanetto l’evoluzione delle tecniche di registrazione e farsi una idea di come siamo arrivati fino ad oggi (ovvero ad ascoltare la musica con le sconcertanti cuffiettine senza fili o le cassettine del PC…).

Tra i tanti benefici effetti stimolati dall’ascolto di questo cofanetto, segnalo una enorme curiosità per le opere barocche (sono presenti “Israele in Egitto” e la bellissima “Alcina“, entrambe di Handel) che già era sorta in me, ma che ora è diventata una mia personale priorità (e viene il sospetto che, oltre ad Handel, forse l’artista più rappresentato nel cofanetto, avrebbero dovuto trovar posto anche a qualche opera di Vivaldi o dello stesso Mozart, per quanto più tardo).

Tutto questo quindi, non solo per suggerirvi di aprirvi alla musica classica, ma anche per stimolare una riflessione sulle modalità attraverso le quali esplorare mondi artistici a voi sconosciuti. Perché anche il metodo fa la differenza e la bulimia contemporanea va tenuta strettamente a bada.


E beccatevi pure il trailer ! 🙂

Musiche meravigliose che non dovrebbero mancare in nessuna casa.

Lezioni di musica

Molto spesso, quando si parla della RAI, si mostra un diffuso sentimento di insofferenza. Nella vulgata dominante la RAI è un carrozzone che utilizza male i soldi del canone, produce, sostanzialmente, le stesse cose della TV privata e via dicendo.
Chi si abbevera al fiume di questa retorica utilizza come esempi le trasmissioni dei canali generalisti della RAI e, nella sua pigrizia mentale, raramente guarda oltre la siepe. Se lo facesse magari scoprirebbe un ricchissimo palinsesto ricco di chicche e produzioni interessanti e validissime.

In questa occasione parleremo di un gioiellino della radio pubblica, e di RAI Radio 3 in particolare. Si chiama “Lezioni di musica” e va in onda, di norma, due volte alla settimana la mattina.

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Come si può evincere dal titolo, questo programma, di una scarsa mezzoretta, si occupa di un’opera musicale (un concerto, una sinfonia, una sonata…), il conduttore (sono diversi e tutti molto bravi e preparati) cerca di illustrare le caratteristiche dell’opera sia contestualizzandola all’interno della vita privata e della storia personale del suo autore, sia collegandola alle altre sue opere, sia analizzandone la struttura formale, sia cogliendone gli aspetti innovativi o più significativi.
Per fare questo il conduttore si appoggia sia al pianoforte, accennando i temi e i frammenti musicali dei quali sta parlando, sia proponendo un ascolto (sempre parziale) dell’opera sul quale interviene per sottolineare ciò che ritiene importante.

Il risultato è un prodotto divulgativo di altissima qualità, che permette anche ad ascoltatori non particolarmente ferrati in queste materie di penetrare nel profondo l’anima di queste composizioni (spesso) immortali. Qualcosa che dovrebbe entrare di diritto nelle scuole medie e superiori, se appena appena qualcuno fosse interessato alla formazione musicale dei nostri giovani.

Ve ne parlo anche perché, fortunatamente, è possibile ascoltare queste puntate in streaming sull’apposito sito della RAI e, chi vorrà, potrà selezionare nel vastissimo elenco le cose che più lo incuriosiscono.

Sono conservate ed accedibili (al momento in cui scrivo) le stagioni dal 2012 ad oggi (!), e all’interno di questa serie ci troverete di tutto: da Mozart a Bach, da Beethoven a Brahms, da Debussy a Monteverdi, ma anche cose meno prevedibili  e contemporanee come alcune puntate su minimalismo e post-minimalismo, opere di Maderna, Castaldi, Berio, Stockhausen, Glass, Reich, Riley, Pärt, Feldman e tanti altri. Non mancano, infine, anche artisti (relativamente) minori come Frogerber, Carissimi, Gastoldi, Willaert

Decine di trasmissioni su decine di opere di decine di artisti di tutti i tempi. Uno scrigno ricchissimo di gioielli che merita assolutamente l’attenzione degli appassionati di musica.

Peccato che, nella recente ristrutturazione del sito, abbiano eliminato la possibilità di scaricare liberamente le trasmissioni per conservarle e/o ascoltarle quando non si ha la connessione. Trattandosi di servizio pubblico sarebbe stato bello conservare questa possibilità.

Ma resta il fatto che questa trasmissione rappresenta la più pura essenza del servizio pubblico, qualcosa che i privati non faranno mai. Sono trasmissioni come queste che giustificano (eccome !) il pagamento del canone, anche se i tromboni che si lamentano della qualità dei programmi RAI non le degneranno di attenzione, buoni solo a lamentarsi.

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Sono anni strani questi, anche per quanto riguarda i miei ascolti (e forse anche i vostri).

La pochezza del nostro presente musicale (o quella che appare A ME come pochezza),
l’incredibile, mostruosa, quantità di dischi prodotti mensilmente,
il fatto che, anche quando sono di buona qualità, sembrino emergere dal chiuso di una cameretta e mai far parte di una scena, di un’idea condivisa di musica, di un mondo, di una cultura,
il confronto col passato, oggi più che mai facile ed immediato, unito alla possibilità di venire a sapere di musiche un tempo difficili da scovare,
tutte queste cose, e forse molte altre, fanno sì che la mia periodica antologia rappresentativa dei miei ascolti negli ultimi due anni, si caratterizzi per materiali che quasi mai emergono dalla pietra fondativa del mondo della musica pubblicata (l’album), ma che provengano da piccoli reperti collaterali, minori, dimenticati e considerati dimenticabili.
Da qui il titolo della raccolta, “Effimeri“, proprio ad indicare non incisioni nei quali l’autore credeva, ma cose accantonate, pubblicate a latere et similia.

Ma, in concreto, di cosa stiamo parlando ?
Provo ad elencare:

  • due demo provenienti dagli anni ’70, che, pur bellissimi, furono inizialmente scartati dagli album in cui dovevano comparire e recuperati solo molti anni dopo
  • due remix, usciti su singoloni, che, se non sono più belli degli originali, sono sicuramente almeno al loro stesso livello e meritano una chance
  • tre live televisivi recuperati con qualche fatica e dall’audio non sempre adeguato, con arrangiamenti però molto molto sfiziosi e intriganti, MAI riproposti nei live ufficiali
  • alcuni brani provenienti da cassette o album legati al mondo dei Centri Sociali Autogestiti di inizio anni ’90, cose dimenticate da tutti eppure di una qualità e di una profondità degne di una riscoperta
  • il dimenticatissimo, a dir poco, lato B di un 45 giri degli anni ’60 pensato per i bambini, nel quale gli esecutori mostrano una fantasia negli arrangiamenti e nella scrittura musicali insieme a una abilità tecnica (un professionismo, oserei dire) che oggi, purtroppo, suona come una bestemmia
  • un brano eccellente, e recente, eppure pubblicato SOLO su YouTube (O tempora, o mores)
  • il recupero di un gioiellino tra i tanti che gli Hare Krishna hanno divulgato porta a porta in giro per l’Italia (ne abbiamo parlato spesso da queste parti)

A queste chicche si aggiungono un paio di brani cileni, che in Italia nessuno vi farà mai conoscere e poco altro (tra il quale anche un breve brano di musica classica, famoso e poco noto al tempo stesso).

In tutto 17 brani per i consueti 80 minuti di godimento (almeno per le mie orecchie).

p.s. come sapete queste mie antologie non sono più distribuibili, per varie ragioni, per cui considerate questo post un po’ delirante come una semplice testimonianza o, al massimo, un piccolo stimolo per indirizzare i vostri ascolti anche verso materiali, appunto, effimeri, ma non per questo da dimenticare

Antonio Ballista (una intervista)

Sempre in attesa di tornare ad avere un po’ di tempo per scrivere qualcosa di minimamente strutturato, vi regalo questa breve intervista ad Antonio Ballista, dalla quale, tra l’altro, emerge la sua grande intelligenza e consapevolezza (non che ci fossero dubbi, vista la qualità della sua carriera).

Ballista dice: “Io penso che la musica, purtroppo, il pubblico non la può capire, la può godere“.

Io aggiungerei, specularmente, anche che: “i musicisti non possono godere della musica, la possono capire” (cosa che ho riscontrato spessissimo nelle chiacchierate avute con compositori e musicisti professionisti) .

SoundScapeS vol.16

E in attesa di ritornare a scrivere qualcosa di serio, vi presento l’ennesima raccolta che certifica quelle canzoni o quei brani musicali che in questi ultimi 14 mesi mi hanno colpito, vuoi per la musica, vuoi per le parole, vuoi per un brivido, vuoi per una vertigine.

Questa volta l’antologia è concettualmente spaccata in due.
Da un lato un discreto numero di brani strumentali (o dove eventuali testi non hanno particolare rilevanza).
Si spazia da materiali quasi-progressive, al minimalismo, a qualcosa di microtonale, un inevitabile passaggio per qualcosa di classico (scoperta dell’ultimo viaggio berlinese), un pizzico di exotica e un gioiellino post-minimalista.

Dall’altra parte, forse figlie dei tempi, alcune canzoni che si pongono il problema della libertà, ma da punti di vista diversi, anche opposti.
Da lì il titolo della raccolta, necessariamente al plurale.

Solo 17 brani (diversi sono piuttosto lunghi) per i consueti 80 minuti di good vibrations (con un paio di dediche implicite).

Scava scava, si trova sempre in giro un sacco di bella musica.

SoundScapeS vol.15

Solo un annetto per arrivare a questa (lasciatemelo dire) strepitosa raccolta, come sempre indispensabile appendice del blog.

19 brani per i soliti 80 minuti (scarsi) di ottime canzoni (e non solo) raccolte sotto il titolo “Classics” da intendersi in almeno due modi.

Il primo è un modo elegante per sottolineare che, alla fine della fiera, anche questa antologia è la solita zuppa che vi propongo periodicamente, infatti dentro ci troviamo:

  • materiali della Battiato factory (in assenza del lider maximo che negli ultimi tempi è stato abbastanza latitante)
  • musiche dagli anni ’80 più oscuri (para-industrial e post-wave, in particolare)
  • uno spruzzo di Africa
  • qualcosina di molto vecchio
  • qualcosina di molto recente
  • qualcosa di sudamericano
  • qualcosina di molto romano
  • qualcosa di pop internazionale (dall’Inghilterra, dall’Islanda, dalla Germania)

Ovvero ESATTAMENTE quello che dovreste aspettarvi.

L’altro modo in cui si può intendere il titolo riguarda invece un fenomeno che lentamente ha preso piede in queste raccolte.
Negli ultimi tempi è diventato abbastanza frequente incontrare da queste parti materiale di musica classica. Non certo sinfonie o concerti, cose imponenti, ma magari piccole arie o, come in questo caso, meravigliose ninne nanne.

Questo quindicesimo volume vede addirittura due brani legati alla tradizione colta europea (entrambi mooooooolto datati) di cui mi sono innamorato, e la cosa che mi sorprende è come, inserita in questo contesto, la loro presenza suoni piuttosto naturale, come se davvero non ci sia poi una enorme distanza tra questi gioiellini classici e il meglio della musica pop-rock e dintorni degli ultimi cento anni.

A chi si chiede come mai non realizzo queste antologie utilizzando strumenti come Spotify segnalo che molti dei materiali che vi inserisco sono completamente (e colpevolmente) assenti da queste piattaforme.

Io questa raccolta ve la consiglio (tra l’altro in due brani c’è la magica voce di Tiziana Lo Conte), poi voi fate come volete 🙂


Chi fosse interessato non dovrà fare altro che contattarmi e darmi le coordinate per potergliela spedire tramite WeTransfer (per chi non lo sapesse, trattasi di una piattaforma che permette lo scambio di file fino a 2 gigabyte, è gratuita e non prevede alcuna iscrizione, in pratica io spedisco all’interessato un link, lui lo preme e tramite il suo browser, e seguendo una semplicissima ed essenziale procedura, scarica i file in poco tempo).

BIS [2016]

Mi capita spesso di ascoltare eccellenti dischi di artisti, o scene musicali, dei quali ho già parlato in passato. Dischi che non aggiungono nulla di particolare a quanto già scritto, e che quindi non meriterebbero un ulteriore post su queste pagine (sarei costretto a riesprimere gli stessi concetti già espressi in precedenza), ma che, allo stesso tempo, sono lavori davvero belli, lavori che se li avessi conosciuti prima sicuramente sarebbero stati citati nei post in questione.
Ho deciso pertanto, a partire da questo ormai terminale 2016, di dedicare a tutti questi dischi una sorta di post riassuntivo (a scadenza annuale) per segnalarveli rapidamente e non farli cadere nell’oblio (sia chiaro, parlerò di dischi che ho ASCOLTATO nel 2016 non necessariamente di dischi USCITI nel 2016).


Iniziamo questa rubrica citando il 17° volume della serie “Éthiopiques ” (ve ne parlai qua) dedicato alla incredibile voce di Tlahoun Gèssèssè, un disco paradigmatico di tutto il fenomeno di cui vi parlai, caratterizzato da ottime canzoni splendidamente eseguite e con protagonista il cantante che più di tutti veniva considerato, non a torto, il migliore in Etiopia in quegli anni. Uno dei must have di tutta la serie.

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Passiamo ora ad un quadruplo (!) CD contenente 6 LP di Ravi Shankar (cliccate qua per leggere come lo ricordai in occasione della sua morte) relativi ai suoi esordi discografici (parliamo di un periodo che va dal 1956 al 1962). Intitolato semplicemente “Six classic albums” è un gioiellino che spicca per la qualità della musica contenuta, per l’ottimo livello delle registrazioni (incredibile come suonino bene certe incisioni d’epoca, a dispetto di quello che si potrebbe pensare) e per il costo decisamente (per non dire ridicolmente) basso. Tutta roba imperdibile per chi ama la musica classica indiana (e dentro ci trovate pure il maestro delle tabla Allah Rakha). Peccato per il libretto non all’altezza, ma credetemi che non vi pentirete dell’eventuale acquisto

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Due parole anche su “Lost and found” atto (forse) conclusivo dell’epopea del Buena Vista Social Club (ci andai in fissa anni fa e ve ne parlai ripetutamente in questo e quest’altro post). Realizzato con tagli, ritagli e frattaglie (frammenti live, scarti dalle registrazione dei tanti dischi usciti, session improvvisate, registrazioni di progetti abortiti…) sarebbe potuto essere il punto debole di tutta l’operazione e invece, lo ammetto, con mia sorpresa, risulta essere un disco bellissimo che può del tutto competere in bellezza ed eleganza (e cuore) con tutta la produzione curata dalla World Circuit. Un disco che vi suggerisco di non sottovalutare e che mi sta regalando ottimi momenti.

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Continua l’epopea dei cofanettoni di classica (ve la ricordate ? qui e qui ciò che vi raccontai). Quest’anno mi sono particolarmente dedicato al recupero di materiali della storicissima etichetta Archiv (sub-label della Deutsche Grammophon) che ha raccolto in alcuni cofanetti sue incisioni, soprattutto relative agli anni ’80. Tra queste segnalo, anche per il prezzo che, se si sa cercare in rete, può essere davvero conveniente, quello intitolato “Concertos & orchestral suites” dedicato a Johann Sebastian Bach ed eseguito dall’English Concert diretto da Trevor Pinnock. Al suo interno 8 CD con una serie incredibile di capolavori (dai Concerti Brandeburghesi alle Orchestral suites passando per i Concerti per clavicembalo, quelli per violino e quelli per varie altre strumentazioni) registrati benissimo e suonati divinamente. Vi serve sapere altro ?

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Segnalo poi le conferme di artisti quali:

– i Boards of Canada (ve ne parlai qua) che con il loro “Tomorrow’s harvest” realizzano un album particolarmente raffinato e godibile

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Antonella Ruggiero (leggete qua e qua cosa scrissi) che nel suo “L’impossibile è certo” trova modo di arricchire il suo repertorio con canzoni di buon (a volte ottimo) livello, impreziosite dalla sua voce sempre splendida e oramai a livelli interpretativi semplicemente stellari

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Fabio Orsi (qui l’articolo a lui dedicato) che continua a stupirmi con un altro gioiellino, il triplo (!) “The new year is over“, progetto davvero riuscito con la sua elettronica ambient avvolgente e mai banale

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Arturo Stalteri (anche di lui vi parlai in questo post) che torna con un disco di suoi lavori, intitolato “Préludes“, che si posiziona tra le sue migliori opere di sempre segnando una notevole maturità compositiva

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Brian Eno (di lui ho parlato spessissimo, ad esempio qua e qua, ma anche qua e qua) che con “The Ship” realizza un’opera ambient per molti versi particolare e particolarmente riuscita (ma lui è una garanzia)

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Catherine Christer Hennix, compositrice di culto, ve ne parlai per questa opera spettacolare, che, con il suo progetto Born of six (insieme ad Amelia Cuni e Werner Durand), ha realizzato un bellissimo disco, “Svapiti“, con sonorità un po’ a metà strada tra Prima Materia, i raga indiani e il minimalismo estatico di LaMonte Young e Terry Riley, registrazione che non suona mai scontata e stupisce ed illumina ad ogni ascolto (quando gli artisti centellinano le uscite, fatalmente il livello medio cresce a dismisura)

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tanto vi dovevo

Buon Anno (ricco, vi auguro, di buona musica)

RAI Radio 5 Classica

Qualche mese fa, purtroppo, la storica radio libera romana Radio Città Aperta ha deciso di smettere di trasmettere in FM e di limitarsi allo streaming in rete.
Personalmente è stato un grosso dispiacere, è una radio che ho ascoltato da (praticamente) sempre, addirittura da quando si chiamava Radio Proletaria, e, poiché per me il momento migliore (e sostanzialmente l’unico) nel quale ascolto la radio è durante la guida della mia fiammante Agila, ecco che la sua scomparsa dall’etere di fatto mi ha privato dei suoi ascolti (solo parzialmente recuperati grazie ad alcuni podcast).

Radio Città Aperta occupava uno dei 12 canali presettati della mia autoradio e, dovendo sostituirla, da brava Vergine pignolosa, mi sono scaricato la lista di TUTTE le stazioni radio che trasmettono a Roma e, con certosina pazienza, ho cercato di scegliere la migliore radio con la quale occupare lo spazio liberato da RCA.
Non è stato difficile decidere e prontamente ho sintonizzato un canale che fino a quel momento neanche sapevo esistesse: RAI Radio 5 Classica.

Senza sottolineare più di tanto come gli anni non siano passati invano se, al posto di una radio politicamente impegnata e musicalmente alternativa, ho scelto una radio dedicata alla classica, voglio provare a spendere due parole su cosa mi piace di questa stazione e cosa no.

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Ascoltare questa radio, a prescindere dalla musica trasmessa, significa fare un salto temporale di decine di anni nel modo di fare radiofonia:

  • niente chiacchiere,
  • niente risate dei conduttori e niente allegria obbligatoria,
  • niente pubblicità,
  • niente GR…
  • insomma, niente (o quasi) oltre la musica.

E’ un ascolto meraviglioso e purificante, privo di tutti gli orpelli che la deriva commerciale delle radio, comprese quelle statali, sembra aver reso obbligatori: vero servizio pubblico.

In sostanza: prima di ogni brano una voce inespressiva ci informa sul titolo del brano che verrà trasmesso, sull’autore dello stesso e sugli esecutori (più eventuali informazioni riguardanti la registrazione in caso di brani registrati dal vivo). Dopo il brano le informazioni vengono ripetute (in maniera tale che se quel certo brano vi ha convinto riuscite immediatamente a sapere di cosa si trattava). E a questo punto si ricomincia con l’annuncio del brano seguente.

Ascoltare questo tipo di radio è come camminare in alta montagna, nel silenzio e respirando ossigeno, paragonato al passeggiare in una metropoli piena di traffico e smog. E fa bene al cuore e allo spirito.

La selezione musicale alterna programmi dedicati ad un certo periodo musicale con monografie dedicate ad un autore o agli autori di un certo paese o a un determinato stile, ma la sostanza è un flusso ininterrotto di musica senza disturbi di alcun tipo: vero servizio pubblico (bis).
La radio è fedele al suo nome e trasmette musica antica, barocca, romantica, sinfonica. da camera, lirica, contemporanea e tutto quello che vi potreste (e dovreste) aspettare.
Un’aspetto ulteriore che ho mooooooolto gradito è che non solo la posso ascoltare in automobile, ma, quando mi capita di essere fuori casa (ma sempre rimanendo in Italia) la posso cercare anche tra i canali del televisore (trasmette anche sulle frequenze del digitale terrestre) di alberghi o case dove mi trovo a passare dei giorni ricavandone compagnia e buone vibrazioni a qualunque ora.

Se proprio vogliamo fare un appunto alla loro programmazione devo dire che manca all’appello di questa radio tutta quella genìa di compositori degli ultimi 50 anni che si è mossa al di fuori dei Conservatori e delle Accademie. I nomi li conoscete.
Pur avendo ogni tanto ascoltato musiche del ‘900, e della seconda parte del ‘900, non mi è capitato di ascoltare né i miei amati minimalisti, né quegli straordinari sperimentatori di cui spesso parlo su queste pagine (Alvin Lucier, Eliane Radigue, David Behrman, Deep listening band, Glenn Branca… l’elenco sarebbe infinito, questi nomi servono solo da esempio) che si sono mossi con grande libertà al di fuori dei circuiti sclerotizzati della solita musica contemporanea.
Se posso fare un appello al direttore artistico della radio (che mi auguro non sia Carlo Conti…) è quello di lasciarsi andare anche alle musiche più interessanti e sfuggenti del periodo che va dai primi ’60 a tutti gli anni ’80 (parliamo infatti di autori ormai pienamente storicizzati, non sto chiedendo attenzione per le nuovissime cose, non sono così pretenzioso).

Ma anche con questo difetto questa stazione è consigliatissima a chiunque abbia a cuore il proprio udito e il proprio cervello, sia per le cose che trasmette, sia per come le trasmette.

Quando la forma nobilita la sostanza.

p.s. A Roma trasmette sulle frequenze 100,30 – potete trovare informazioni e dettagli sia sulla sua pagina Facebook sia sul suo sito web.