Qualcuno di voi ricorderà il mio entusiasmo per i “cofanettoni” di musica classica (e non solo) comparsi sul mercato discografico negli ultimi lustri (ad esempio ne ho parlato qua e qua).
Economici, qualitativamente spesso eccelsi, rappresentano un modo interessante per approfondire la musica cosiddetta classica.
Ho comprato, ascoltato (ci ho messo 5 anni esatti…) e approfondito uno di questi oggetti, con una soddisfazione difficile da comunicare. Si intitola “Archiv Produktion 1947 – 2013” e, come intuirete, festeggia i 55 anni di attività di questa prestigiosa etichetta attraverso 55 CD che hanno il compito di celebrare e riassumere le produzioni di questa sussidiaria della Deutsche Grammophon.
Il sottotitolo del cofanetto “A celebration of artistic excellence from the home of early music” riassume benissimo il senso dell’operazione. Grazie ad alcuni sconti l’ho pagato poco meno di 65 euri, fate voi i conti di quanto possa essere economica una simile concentrazione di capolavori.
Ascoltare questi dischi significa effettuare una molteplicità di viaggi, uno più bello dell’altro. Provo a riassumerli.
1) Il primo viaggio, il più ovvio, è quello nell’universo della musica antica e barocca. La Archiv fin dal suo nascere si è specializzata in quel periodo che, grosso modo, va dalle prime tracce pervenute di musica antica (dal XIII secolo) proseguendo attraverso il canto Gregoriano e via via fino al barocco e le sue ultimissime propaggini (diciamo fino a Beethoven). In questo viaggio si incontrano musicisti iper-famosi e celebrati (Bach, Handel, Palestrina, Monteverdi, Vivaldi, Corelli, Purcell), altri un po’ meno famosi dei quali avevo ascoltato poche cose (Telemann, De Machaut, Haydn, Rameau) e altri ancora dei quali ignoravo tutto (Zelenka, Rebel, Ockeghem, Muffat, De Victoria, il sorprendentissimo Myslivecek…). E’ splendido lasciarsi guidare dai curatori del catalogo all’interno di un universo che contiene moltissime perle (a me) sconosciute in un viaggio che è fatto di pura bellezza, del navigare in un oceano immenso affidandosi alle rotte tracciate da chi ha speso una vita a identificare cosa sia meritevole di attenzione. Ed è bello farlo attraverso lo strumento dei CD, l’oggetto fisico che ci “costringe” ad ascoltare l’opera dall’inizio alla fine, senza (troppe) distrazioni (a differenza dello streaming, dove la tentazione di andare nevroticamente altrove è sempre presente).
A posteriori appare anche evidente come ci sia un enorme differenza tra i suggerimenti dell’intelligenza digitale (“chi ha ascoltato questo ha anche apprezzato quest’altro“, “se ti è piaciuto questo allora prova quest’altro“…) che spesso incontriamo sulle varie piattaforme dedicate all’ascolto in streaming e un percorso vero e proprio strutturato da qualcuno che di certe cose ha grande competenza. E’ anche chiarissimo come, per quanto ampia, anche questa antologia non possa non avere delle mancanze che a me appaiono gravi (tanto per dire: davvero non c’era spazio, o una incisione soddisfacente, per Pergolesi ?), ma la cosa che emerge a valle dell’ascolto è comunque una sensazione di completezza e piena immersione in un mondo di straordinario fascino che poi nessuno ci vieta di approfondire ulteriormente.
2) Il secondo viaggio è quello all’interno delle scelte e delle logiche dell’etichetta. Oggi, che abbiamo a disposizione immediatamente enormi quantità di musica, è difficile immaginare come, nel primissimo dopoguerra, i curatori di un etichetta che si era data il compito di documentare alcuni secoli di storia della musica colta europea, dovessero decidere a quali autori e, ancor di più, a quali opere dare spazio, quali fossero le priorità, le composizioni che proprio non potevano mancare dal loro catalogo. Uno sforzo di sintesi e di valutazione dell’importanza storica e artistica che appare titanico: i Concerti Brandeburghesi di Bach o la sua Messa in Si Minore ? i lavori per organo o quelli per altri strumenti ? e i concerti grossi di Corelli ? quali scegliere ? quali oratori di Handel privilegiare ? e così via. Non è solo un dato storico-statistico e un affascinante percorso di selezione: si tratta di calarsi nei loro panni e costringersi a scegliere, cosa che, in un mondo dove “tutto e subito” sembra naturale, abbiamo dimenticato e non sappiamo più fare. E non è stato un bene.
3) Il terzo viaggio è quello attraverso i musicisti selezionati per suonare. La Archiv dovette anche decidere a chi affidare le interpretazioni e, negli anni, ha dato modo ad eccellenti musicisti di affermarsi spesso con incisioni considerate dagli esperti come dei riferimenti assoluti. Qualche nome tra i tanti: il Gabrieli consort, Musica Antiqua Köln con il suo direttore Reinhard Goebel, The English concert diretto da Trevor Pinnock, il Monteverdi Choir, The English baroque soloists diretto da John Eliot Gardiner, The Early Music Consort of London, il Concentus Musicus Wien diretto da Nikolaus Harnoncourt, i Berliner Philarmoniker, l’Accademia Bizantina di Ottavio Dantone. Tra i tantissimi solisti mi piace segnalare Dietrich Fischer-Dieskau, baritono che non avevo mai sentito nominare (so di essere ignorantissimo in materia di musica classica) e la cui voce mi si è rivelata come una incredibile meraviglia d’altri tempi. Perché è giusto apprezzare i nostri contemporanei, ormai spesso ridotti al ruolo di ultra-divi e costretti a pose e immagini degni di una qualunque velina televisiva, ma è bello riscoprire un mondo meno iper-prodotto e, in qualche modo, più a misura d’uomo e di artista. Parallelamente mi sono deliziato per le performance, molto più recenti, ma altrettanto eccellenti, delle soprano Anna Prohaska e Joyce DiDonato, per me due assolute sconosciute (lo ripeto, sono un novizio in questi campi), ma capaci di interpretazioni strabilianti.
4) Il quarto viaggio è quello nell’esoterico universo delle tecniche di incisione. Obiettivo di questa raccoltona è anche quello di narrare la storia in maniera equilibrata, quindi, partendo dai primi CD (caratterizzati da esecuzioni presentate per la prima volta in digitale) incontriamo registrazioni monofoniche risalenti alla fine degli anni ’40 e ai primi ’50, per poi, piano piano, incontrare registrazioni sempre più sofisticate al seguito di una tecnologia sempre più sviluppata e a conoscenze tecniche sempre più approfondite. Forse il vero top della qualità è stata quella degli anni ’80 quando l’opulenza del mercato rendeva possibile investire parecchio denaro nei macchinari e nella cura delle incisioni, ma l’orecchio attento può seguire in questo cofanetto l’evoluzione delle tecniche di registrazione e farsi una idea di come siamo arrivati fino ad oggi (ovvero ad ascoltare la musica con le sconcertanti cuffiettine senza fili o le cassettine del PC…).
Tra i tanti benefici effetti stimolati dall’ascolto di questo cofanetto, segnalo una enorme curiosità per le opere barocche (sono presenti “Israele in Egitto” e la bellissima “Alcina“, entrambe di Handel) che già era sorta in me, ma che ora è diventata una mia personale priorità (e viene il sospetto che, oltre ad Handel, forse l’artista più rappresentato nel cofanetto, avrebbero dovuto trovar posto anche a qualche opera di Vivaldi o dello stesso Mozart, per quanto più tardo).
Tutto questo quindi, non solo per suggerirvi di aprirvi alla musica classica, ma anche per stimolare una riflessione sulle modalità attraverso le quali esplorare mondi artistici a voi sconosciuti. Perché anche il metodo fa la differenza e la bulimia contemporanea va tenuta strettamente a bada.
E beccatevi pure il trailer ! 🙂
Musiche meravigliose che non dovrebbero mancare in nessuna casa.