BIS [2018]

Anche quest’ anno vi segnalo alcuni dischi che, come scrissi, riguardano “...artisti, o scene musicali, dei quali ho già parlato in passato. Dischi che non aggiungono nulla di particolare a quanto già scritto, e che quindi non meriterebbero un ulteriore post su queste pagine (sarei costretto a riesprimere gli stessi concetti già espressi in precedenza), ma che, allo stesso tempo, sono lavori davvero belli, lavori che se li avessi conosciuti prima sicuramente sarebbero stati citati nei post in questione.

Non sono dischi necessariamente pubblicati nel 2018, ma dischi che ho ascoltato e approfondito in questo anno solare che ci stiamo per lasciare alle spalle.


Iniziamo con un classico di queste parti: Enzo Avitabile (di lui vi ho parlato diffusamente qua e qua) che, con il suo “Lotto infinito” (2016) realizza l’ennesimo disco ricco di sostanza e musicalità. Forse non il suo più ispirato, ma certamente un disco molto al di sopra della media della roba che circola in giro. Come di consueto per lui, anche questa volta ricco parterre di ospiti tra i quali spiccano Francesco De Gregori, Elena Ledda, Paolo Fresu e l’immortale Giovanna Marini.

Altro abitué del mio blog è Arturo Stalteri. Negli ultimi anni ha preso a fare dischi con grande regolarità. Il suo recente “Low and loud” (2017) è un disco tipicamente suo: pianocentrico, caratterizzate dalle consuete composizioni ispirate, a metà tra Chopin e Mertens, e con la novità di alcune tracce dedicate agli amori musicali di Stalteri (i Rolling Stones, Bach, Pachelbel) e un omaggio a Rino Gaetano del quale Stalteri fu compagno di avventure alla It records.

Di Maurizio Bianchi vi ho parlato spesso (in particolare qui e qui), ma è davvero incredibile come nei suoi dischi, e ne ha fatti tantissimi, molti di più di quanti possiate immaginarne, ci sia sempre una idea di fondo forte e robusta, una necessità di pubblicazione che bussa forte dai solchi. Non fa eccezione “Ludium” (2009), stranissimo lavoro fatto a partire dai suoni di un pianoforte. Disco anomalo per lui, ma più che meritevole di (ripetuti) ascolti. E’ davvero un grande (relativamente) misconosciuto.

Le più recenti stagioni discografiche si sono segnalate per recuperi di materiale anche molto datato, ma attuale, forse, più oggi che allora.

Tra queste produzioni devo segnalarvi il bellissimo “Evoluzione interiore” (2018) di Juri Camisasca, registrato dal vivo a fine anni ’70, sorta di bootleg ufficiale di una bellezza inaudita. Un Camisasca lontano dalla forma canzone e catturato dall’amore per il suono, per la sua essenza più pura. Una performance eccellente che oscura moltissimi materiali prodotti, con molte più ambizioni, al giorno d’oggi.

Altra performance risalente ad un lontano passato è quella presente all’interno di “Drumming” (2018, riedizione di un disco pubblicato nel 1971 in pochissimi esemplari). Brano celeberrimo di Steve Reich, esecuzione meravigliosa con a suonare, tra gli altri, Jay Clayton, Jon Gibson, Joan La Barbara, Steve Chambers. Disco obbligatorio sia per chi già conosce quest’opera sia per chi non la dovesse conoscere (conosciatela !).

Non manca mai in questi “Bis” di fine anno Brian Eno che con il suo “Music for installations” (2018, 6 CD) raccoglie alcune sue musiche, come da titolo, per installazioni varie realizzate in un passato recente e meno recente. Questa pubblicazione va a smentire quanto scrissi qui, ma ben vengano questi cambiamenti di opinione quando il risultato è la circolazione di materiali di così buona qualità (in particolare “I dormienti“, “Atmospheric lightness” e “Kazakhstan“). Speriamo realizzi ancora box come questo (volendo ci sarebbero i presupposti).

Una grande sorpresa all’ascolto è stato invece “We could for hours” (2008) di Fabio Orsi e Valerio Cosi. Del primo vi avevo già parlato, con toni entusiasti, in questo post e in un bis precedente, ma questo disco, preso quasi per caso, non posso non elogiarlo. Drone music per, soprattutto, organo, sax ed elettroniche varie, in splendido equilibrio tra certo minimalismo sacro (Palestine, Gibson e Riley), il Battiato di “M.elle le Gladiator” e qualcosa di Stephen Scott. Musiche eternamente ascendenti nelle quali ci si perde con grande gusto.

Anche dei Radiodervish ho parlato spesso, il loro “Il sangre e il sal” (2018) conferma la loro cifra stilistica che ormai ha raggiunto la piena maturità. E se manca l’effetto sorpresa (le canzoni sono proprio come ci aspettiamo che debbano suonare) in compenso la vena compositiva è molto fresca e vivace e nel disco scorrono diversi brani tra i migliori della loro produzione. “Time for a coffee” e “Nuovi schiavi” sono i pezzi più coinvolgenti, ma tutto il disco conferma la bravura di un gruppo la cui lontananza dai riflettori del mainstream risulta sempre più inesplicabile.

Concludiamo con un pezzo di storia della musica. Karlheinz Stockhausen.
Normalmente si parla dei suoi brani storici, giustamenti considerati importanti e riusciti. Mi è capitato però di ascoltare questo relativamente recente “Elektronische musik mit tonszenen vom Freitag aus Licht” (1996), realizzato nella prima metà degli anni ’90, ed è un disco di musica elettronica non solo bello, ma molto sorprendente e terribilmente “avanti“. Il modo in cui Stockhausen gioca con i suoni, li modifica, li sposta nello spazio, è qualcosa di molto particolare capace di essere nuovo senza risultare indigesto. Considerate questo come un invito, a voi e a me stesso, ad approfondire le musiche composte da lui negli ultimi 15-20 anni della sua vita, è probabile che al loro interno ci siano delle perle rimaste immeritatamente nascoste.

Detto questo non resta che augurarvi

Buon Anno a tutti

 

BIS [2017]

Per il secondo anno vi segnalo alcuni dischi, riprendo paro paro quanto scritto l’anno scorso, “…di artisti, o scene musicali, dei quali ho già parlato in passato. Dischi che non aggiungono nulla di particolare a quanto già scritto, e che quindi non meriterebbero un ulteriore post su queste pagine (sarei costretto a riesprimere gli stessi concetti già espressi in precedenza), ma che, allo stesso tempo, sono lavori davvero belli, lavori che se li avessi conosciuti prima sicuramente sarebbero stati citati nei post in questione.


Partiamo alla grande con il secondo meritorio capitolo degli Embrionic coleslaw, intitolato, con la consueta fantasia, “Tumult infiltrate outbreak” e per il quale valgono grosso modo le cose già dette per il precedente (le trovate in questo post), salvo la mancanza dell’effetto sorpresa e, forse, una vena leggermente meno ispirata (ma è sempre un gran bell’ascoltare).

Taaaaaanto tempo fa vi parlai di un interessante ed economico cofanetto dedicato al tango argentino (in questo post dedicati ai cofanettoni), non posso non segnalarvi un secondo box concettualmente assai simile, intitolato “La yumba – the greatest tango performers“, ben 10 dischi, ognuno dei quali abbastanza tematico intorno a uno o più autori, bello quanto l’altro e sufficientemente diverso nelle tracce da esserne un vero e proprio complemento (e costa talmente poco che non dovreste negarvelo).

Due parole anche su “Gli anni ’90“, seconda, e conclusiva, raccolta di quanto prodotto dai sempre grandi Gronge (della prima vi avevo ben parlato in questo post). In questa raccolta troviamo materiale eccellente, ma lo sapevate già, prelevato dai loro dischi ufficiali insieme a rarità varie.

Ottimo anche il secondo lavoro di Iosonouncane, “Die“, più ricercato e raffinato del precedente “La macarena su Roma” (elogiato in questo post dal sottoscritto), ma forse un pizzico meno coinvolgente.

Vi avevo parlato dei Cluster qui. Nel frattempo mi sono comprato un (ennesimo) cofanettone contenente i loro primi 9 CD (compresi i due con Brian Eno) e sono tutti dischi solidissimi e consigliabilissimi (volete altri superlativi ?). Peccato per il libretto del cofanetto, non del tutto all’altezza della musica ivi contenuta.

A proposito, non c’è anno che non porti con sé qualcosa di buono realizzato proprio da Brian Eno, e quest’anno è toccato all’ottimo “Reflection” (devo dirvi quante volte ho già citato questo artista in questo blog ?), classicamente ambient, ma, purtroppo, il cd non prevede il download del programma che lo ha generato “automaticamente”, sarebbe stato bello farlo girare sui nostri computer.

Grande ritorno per i Roseluxx (qui le mie note sul loro esordio) con “Feritoia“: grande classe, una leggera deriva massimovolumeiana (non che sia un difetto) e ottimi brani (in particolare una superba “Tenebra bianca“).

Concludiamo con un altro ottimo, seppur ennesimo, Wim Mertens: con “Dust of truths“, terza parte di una trilogia intitolata “Cran aux oeufs“, che vi consiglio tutta caldamente. Di lui vi parlai soprattutto qua e qua, e anche questo disco dimostra una vena per nulla inaridita e conferma la capacità di dare alcune zampate di altissimo livello (ferme restande le consuete orribili copertine, ma ormai ci abbiamo fatto l’abitudine).

Questi alcuni ascolti meritevoli di artisti già noti su questo blog, se siete interessati prendete nota 🙂

Buon Anno a tutti

 

BIS [2016]

Mi capita spesso di ascoltare eccellenti dischi di artisti, o scene musicali, dei quali ho già parlato in passato. Dischi che non aggiungono nulla di particolare a quanto già scritto, e che quindi non meriterebbero un ulteriore post su queste pagine (sarei costretto a riesprimere gli stessi concetti già espressi in precedenza), ma che, allo stesso tempo, sono lavori davvero belli, lavori che se li avessi conosciuti prima sicuramente sarebbero stati citati nei post in questione.
Ho deciso pertanto, a partire da questo ormai terminale 2016, di dedicare a tutti questi dischi una sorta di post riassuntivo (a scadenza annuale) per segnalarveli rapidamente e non farli cadere nell’oblio (sia chiaro, parlerò di dischi che ho ASCOLTATO nel 2016 non necessariamente di dischi USCITI nel 2016).


Iniziamo questa rubrica citando il 17° volume della serie “Éthiopiques ” (ve ne parlai qua) dedicato alla incredibile voce di Tlahoun Gèssèssè, un disco paradigmatico di tutto il fenomeno di cui vi parlai, caratterizzato da ottime canzoni splendidamente eseguite e con protagonista il cantante che più di tutti veniva considerato, non a torto, il migliore in Etiopia in quegli anni. Uno dei must have di tutta la serie.

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Passiamo ora ad un quadruplo (!) CD contenente 6 LP di Ravi Shankar (cliccate qua per leggere come lo ricordai in occasione della sua morte) relativi ai suoi esordi discografici (parliamo di un periodo che va dal 1956 al 1962). Intitolato semplicemente “Six classic albums” è un gioiellino che spicca per la qualità della musica contenuta, per l’ottimo livello delle registrazioni (incredibile come suonino bene certe incisioni d’epoca, a dispetto di quello che si potrebbe pensare) e per il costo decisamente (per non dire ridicolmente) basso. Tutta roba imperdibile per chi ama la musica classica indiana (e dentro ci trovate pure il maestro delle tabla Allah Rakha). Peccato per il libretto non all’altezza, ma credetemi che non vi pentirete dell’eventuale acquisto

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Due parole anche su “Lost and found” atto (forse) conclusivo dell’epopea del Buena Vista Social Club (ci andai in fissa anni fa e ve ne parlai ripetutamente in questo e quest’altro post). Realizzato con tagli, ritagli e frattaglie (frammenti live, scarti dalle registrazione dei tanti dischi usciti, session improvvisate, registrazioni di progetti abortiti…) sarebbe potuto essere il punto debole di tutta l’operazione e invece, lo ammetto, con mia sorpresa, risulta essere un disco bellissimo che può del tutto competere in bellezza ed eleganza (e cuore) con tutta la produzione curata dalla World Circuit. Un disco che vi suggerisco di non sottovalutare e che mi sta regalando ottimi momenti.

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Continua l’epopea dei cofanettoni di classica (ve la ricordate ? qui e qui ciò che vi raccontai). Quest’anno mi sono particolarmente dedicato al recupero di materiali della storicissima etichetta Archiv (sub-label della Deutsche Grammophon) che ha raccolto in alcuni cofanetti sue incisioni, soprattutto relative agli anni ’80. Tra queste segnalo, anche per il prezzo che, se si sa cercare in rete, può essere davvero conveniente, quello intitolato “Concertos & orchestral suites” dedicato a Johann Sebastian Bach ed eseguito dall’English Concert diretto da Trevor Pinnock. Al suo interno 8 CD con una serie incredibile di capolavori (dai Concerti Brandeburghesi alle Orchestral suites passando per i Concerti per clavicembalo, quelli per violino e quelli per varie altre strumentazioni) registrati benissimo e suonati divinamente. Vi serve sapere altro ?

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Segnalo poi le conferme di artisti quali:

– i Boards of Canada (ve ne parlai qua) che con il loro “Tomorrow’s harvest” realizzano un album particolarmente raffinato e godibile

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Antonella Ruggiero (leggete qua e qua cosa scrissi) che nel suo “L’impossibile è certo” trova modo di arricchire il suo repertorio con canzoni di buon (a volte ottimo) livello, impreziosite dalla sua voce sempre splendida e oramai a livelli interpretativi semplicemente stellari

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Fabio Orsi (qui l’articolo a lui dedicato) che continua a stupirmi con un altro gioiellino, il triplo (!) “The new year is over“, progetto davvero riuscito con la sua elettronica ambient avvolgente e mai banale

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Arturo Stalteri (anche di lui vi parlai in questo post) che torna con un disco di suoi lavori, intitolato “Préludes“, che si posiziona tra le sue migliori opere di sempre segnando una notevole maturità compositiva

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Brian Eno (di lui ho parlato spessissimo, ad esempio qua e qua, ma anche qua e qua) che con “The Ship” realizza un’opera ambient per molti versi particolare e particolarmente riuscita (ma lui è una garanzia)

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Catherine Christer Hennix, compositrice di culto, ve ne parlai per questa opera spettacolare, che, con il suo progetto Born of six (insieme ad Amelia Cuni e Werner Durand), ha realizzato un bellissimo disco, “Svapiti“, con sonorità un po’ a metà strada tra Prima Materia, i raga indiani e il minimalismo estatico di LaMonte Young e Terry Riley, registrazione che non suona mai scontata e stupisce ed illumina ad ogni ascolto (quando gli artisti centellinano le uscite, fatalmente il livello medio cresce a dismisura)

svapiti

tanto vi dovevo

Buon Anno (ricco, vi auguro, di buona musica)